Caro Jack,

ti scrivo.

Che come inizio, dirai, pare più il testo di una canzone che una lettera.

Caro Jack (dicevo),

ti scrivo.

E lo faccio anche a nome di tutti gli “hermanos” che conosco che, come me, ti leggevano, ti ascoltavano alla radio o ti guardavano in tv dieci-quindici-venti anni fa.

Lo faccio anche a nome loro, no?

Mi assumo la responsabilità di rappresentarli! Senza delega. Come un capitano qualunque che beve “spritz” anziché mojiti! 

E se qualcuno non ci sta? Beh, può fermarsi anche qui se preferisce.

Credo però che, capitano o non capitano, tutti i miei “fratelli”, che navigano a vista su questo blog, siano felici di scrivere insieme questa lettera.

Per tutti noi è un bel tuffo nel passato, quando per ore e ore stavamo incollati alla radio aspettando lo scorrere lento della tua condanna a morte.

Caro Jack,

caro Jack Folla,

avevamo per lo più venticinque o trent’anni. Tu, qualcosa in più di noi. Eri un fratello maggiore.

Quel fratello maggiore che non ti faceva prediche ma che agitava il cuore, passando dallo stomaco, arrivando fino al cervello.

Quelle lettere/poesie, quei drammatici monologhi che ci donavi, tra un disco e l’altro (sono storia vecchia per le radio commerciali di oggi), hanno causato dei bei “casini” a suo tempo, lo sai? Adesso te lo possiamo confessare: “Alcatraz” contribuì, in modo determinante, a farci cambiare vita. E non lo dico in senso simbolico!

Qualcuno cambiò il suo lavoro. Qualcuno cambiò casa, dimenticandosi dentro il compagno o la compagna (ops) e qualcuno fece entrambe le cose! Pensa te..

“Casini”, Jack! Sì, dei bei “casini”! E la cosa buffa sai qual’è? E’ che io sono certo che, davanti a tutto ciò, tu ti sia fatto soltanto delle “grasse” risate.. che sotto sotto sapevano d’orgoglio, nel vederci in grado di ribaltare una vita che probabilmente ci stava un pò stretta.

Noi che siamo cresciuti ascoltando la tua “Una donna in rinascita” (“Più dei tramonti, più del volo di un uccello, la cosa meravigliosa in assoluto è una donna in rinascita. Quando si rimette in piedi dopo la catastrofe, dopo la caduta. Che uno dice: è finita. No, non è mai finita per una donna. Una donna si rialza sempre, anche quando non ci crede, anche se non vuole…. Più delle albe, più del sole, una donna in rinascita è la più grande meraviglia. Per chi la incontra e per se stessa. È la primavera a novembre. Quando meno te l’aspetti…“);

noi che abbiamo dedicato questo tuo capolavoro alla donna che amavamo… che poi, te lo posso assicurare, rinasceva veramente e non tanto per la nostra dedica quanto perché le donne hanno sempre avuto più attributi di noi maschietti. E noi, per assurdo intimoriti, siamo tornati nel nostro angolino, non sentendoci più indispensabili. In fondo eravamo “piccoli picoli”. Non avevamo ancora capito che quando si ama veramente si deve gioire della loro rinascita e del loro nuovo volo. Anche se quel volo, a volte, le ha portate verso altri lidi. Amen.

D’altronde, con la bellissima “Ragazza del terzo millennio” tu cercasti di farcelo capire (“Ragazza del Terzo Millennio, ti credo anche quando sei cattiva. Quando con i maschi ti comporti da maschio e ci bruci il cuore. Quando ci soffi il posto, usando le tue arti femminili con un nostro superiore; e quando sei atleticamente più forte dei nostri polmoni fumati, e ci cavalchi in letti di frontiera. Ragazza del Terzo Millennio, ti consegno la bandiera del progressismo, sei tu l’uomo moderno, mi inchino. E voi datemi pure del disertore, fratelli maschietti, ma io questo spettacolo non me lo perdo, questi fuochi femminili d’artificio, soltanto perchè non sappiamo accettare una sconfitta della specie. Onore ai caduti per le belle donne, invece: venite con me in tribuna ad assistere all’evoluzione del genere umano!“).

Noi che abbiamo (spesso) pianto, arroccati sotto le nostre coperte, manco fosse un castello da difendere, ascoltando “Il vizio dell’infelicità” o “Amare se stessi”, “Dignità”, “Che cazzo vuoi di più”, “Dove andiamo”, “Teste da tagliare”, “I mediocri girano liberi”, “Uomini soli” o “I sogni”. A proposito, Jack, un giorno o l’altro ci dovrai spiegare perché i sogni non ci facevano bene.. (“I sogni sono la più grande presa per il culo che l’uomo fa a se stesso..”). La pensi ancora così?

Caro Jack Folla,

ma come stiamo oggi?

Tu come stai?

No, perché, a me qualche giorno fa è toccato riascoltare il tuo pezzo “Il dolore” (“Il dolore è come il postino, suona sempre due volte. Nel mio caso è un postino suonato, un postino suonato che suona una terza volta anche vent’anni dopo. Com’è che diciamo in questi casi? Sono un po’ esaurito? Sai come direi io in questi casi fratello? Sono un po’ all’inizio, è il Jack vecchio che è esaurito. No, io piango solo e sempre quando sto per cambiare pelle, quando sto per evadere, quando credo di essere sul punto di morire che puntualmente corrisponde al punto di rinascere. E ieri il postino ha suonato per la terza volta. Mi ha consegnato un pacco di dolori vecchi e se ne è andato..“).

Quel cazzo di prima visita da parte del postino è toccata a tutti quanti noi. A chi prima, a chi dopo.

A me è toccata soli pochi mesi fa quando, in un pacco, mi è stata consegnata la notizia della morte di mio padre. E stai male. Perdi la testa. Poi piano piano cerchi di rialzarla e chi ti risuona alla porta dopo qualche mese? Sempre lui, il postino, che ti ricorda che quel dolore non è passato. Non passa.

Caro Jack,

caro Diego Cugia

scrittore e autore di tutte le parole del condannato nel braccio della morte a cui dobbiamo tanto.

Ma quante volte dobbiamo ancora sentirci soli in questa vita?

E’ questa la nostra sorte?

Saranno forse, le nostre, delle scelte sbagliate (così le definiscono “gli altri”)? Lasciamo un lavoro sicuro tuffandoci nell’incognito; ci innamoriamo di quella donna o di quell’uomo che (sempre “quegli altri”) ci dicono non essere adatta o adatto a noi, ma noi seguiamo il cuore; ci schieriamo sempre dalla parte di chi è destinato a perdere, ad essere escluso, a soccombere. Ci ritroviamo (forse) anche soli perché ci rimettiamo sempre in gioco fottendocene dei “chi te lo fa fare”..? Perché poi loro (sì, sempre “quegli altri”) sghignazzano… sì, sghignazzano quando te le dicono..

Fanculo.

Noi stiamo coi ribelli, Jack. Anche se, per quelli della nostra generazione, non è sempre facile esserlo. Intendo, ribelle.

Quando confidiamo a chi abbiamo più vicino che vorremmo una vita unica ed irripetibile (quindi non convenzionale, “diversamente normale”) gli esclusi diventiamo noi.

Io mi dico: “ma dovresti essere felice per me!”

Jack, ieri mi sono riascoltato anche il tuo “Osare”. Con quelle tre parole che amavi sempre sottolineare: il verbo era, appunto, “osare”, l’aggettivo “ardito”.. e la terza parola “speranza”, una “parola di fuoco” (“Io sono un cattivo maestro, lo sapete, per cui non dovete assolutamente darmi retta… purtroppo sono un dj parlante, perciò tra un disco e l’altro io parlo, e ora voglio parlarvi di un verbo e un aggettivo che amo assai : il verbo è osare e l’aggettivo è ardito. Sono entrambi desueti come l’Olivetti lettera 32 e la camicia da notte di mia nonna. Osare significa innanzitutto prevedere che esiste una terza via tra una vita qualunque e una vita straordinaria e si chiama miracolo, ed è un mistero qualunque della nostra vita…perché capita a tutti, inevitabilmente… e può essere una sconosciuta che scende dall’autobus e potete fermarla, e se lo farete e se sarete convincenti la vostra vita cambierà dal giorno alla notte, o essere un’opportunità da cogliere al balzo. Ma osare non basta, bisogna essere arditi : rifare per l’undicesima volta la stessa cosa che non ci è riuscita mai…roba da kamikaze vero?”)

Ma lo sai che stiamo ancora messi così? Non ridere, ti prego.

Abbiamo ancora la necessità di scriverti, di cercarti, di confrontarci con te.

Non pretendiamo da te una soluzione ai nostri grattacapi, anche perché tu la soluzione non ce la daresti manco se l’avessi in tasca.

Perché, fondamentalmente, ci vuoi proprio così: incasinati.

E ridi ancora mentre mi stai leggendo, ti vedo.

Ci vuoi nel “casino” più totale, Jack?

E noi siamo ancora pronti a ribaltare la nostra vita! Eccoci!

Anche se non è più come vent’anni fa, cazzo!

Oggi abbiamo debiti, mutui, famiglie da sfamare, compagne, mogli, ex mogli, rate della macchina e un lavoro a tempo indeterminato che ci siamo pure sudati in questi anni.

Fanculo.

Ci siamo complicati la vita oppure, semplicemente, l’abbiamo vissuta? L’abbiamo vissuta nel modo giusto o nel modo sbagliato? E cosa abbiamo, nel caso, sbagliato?

Fanculo, ancora!

Ma siamo in piedi Jack, siamo in piedi. E crediamo ancora in quei valori che condividevamo insieme!

Se mai dovesse accadere di incontrarci vorremmo un pò piangere, se ce lo permetterai, sulla spalla del nostro fratellone. Per sentirti ancora ridere e dire: “Cazzo, ma siete ancora messi così male? Vi voglio bene, hermanos!”

Questo pianto non finirà mai, Jack. Questa rabbia non finirà mai.

Questa vita “normale” ci starà sempre stretta. E forse non saremo mai felici! Mai soddisfatti!

Questa lettera Jack,

questa nostra lettera Diego,

è un invito.

Negli anni passati sei stato sempre tu a chiamarci per risvegliare le nostre coscienze.

A questo giro, no. Offriamo noi.

Siamo noi. Siamo noi, coi nostri cuori ribelli, a chiamarti.

Siamo noi, a chiederti di venire.

Sono io a chiederti di venire.

Qui è tutto pronto per accoglierti, non lasciarci più andare via!

Aspetto tue.

A*