Quanti voi hanno visto, recentemente, la mini-serie tv “Chernobyl”? Alzate la manina, su, che vi conto. Non fate i timidi, mica è uno smacco!

Io l’ho vista. Mi è piaciuta. E sono in parecchi a pensarla come me, sembrerebbe, guardandovi. E chi non l’ha vista ne ha sentito certamente parlare. E chi non ne ha nemmeno sentito parlare, perlomeno, conosce ciò che successe più di 30 anni fa a seguito di quel dannato incidente nucleare.

Al di là della tragedia ambientale (ne vogliamo parlare?), al di là del numero di vittime impressionante (vogliamo parlare pure di questi dati?), al di là delle colpe.. delle omissioni.. (potremmo soffermarci anche su questo.. con altri 10 articoli..) mi sono soffermato sull’”aspetto umano” ed ho provato ad immaginare cosa potesse aver significato per tutte quelle persone dover fuggire dalla propria città.. Senza nemmeno sapere che.. sarebbe stato per sempre.. E’ pazzesco, vero?

In un mondo globalizzato come il nostro, in cui oggi ti trovi qui e domani potresti ritrovarti dall’altra parte del mondo, qualsiasi sia stato il motivo che ti ha spinto ad andare via, sai bene che potrai tornare quando e come vorrai (tralasciamo le tragedie nel mondo che sono pure troppe).

Potrai allontanarti e poi fare ritorno in quella città che ti ha fatto nascere, crescere, studiare, lavorare, innamorarti..

Immaginiamo ora che la stessa cosa possa accadere a noi domani, ma con la certezza che.. NO non si tornerà mai più!

Immaginiamoci, che ne so, un’invasione di cavallette (per altre cause non voglio nemmeno provare ad immaginarmelo) che prendono il potere e decidono di far come vogliono loro e decidono che gli esseri umani.. “Fuori.. Via tutti.. Padroni a casa nostra!” (scusate la cit. purtroppo di attualità!). Adesso non iniziate a prendermi alla lettera e non cominciate a dar caccia alle cavallette che non ci hanno fatto (per il momento..) ancora nulla!

Restiamo nel gioco.

Che emozioni provereste quel giorno al pensiero che non rivedrete più quei luoghi..? Quali emozioni? Quali ricordi emergerebbero?

Io ho provato e.. Amici miei, sarò anche uno con la lacrima in dotazione e mica come optional, ma che pianti raga..

La scuola. La scuola è il mio primo ricordo. Più indietro non riesco a mettere sufficientemente a fuoco. La scuola, sì! Quei banchi. Piccoli. Una maestra. Ai miei tempi ce n’era una sola. Era alta, slanciata. Severa nel suo sorriso. La maggior parte dei miei compagni non l’ho quasi più rivista. Altri sono diventati gli amici di sempre. Poi c’erano le ragazze. Sì, insomma, le bambine. A quei tempi facevamo a gara a fare i deficienti per attirare la loro attenzione. E in questo devo dire che noi maschietti, poi, non siamo mai cambiati.. Passavamo le nostre giornate sotto i portici di casa. Nel parchetto. All’oratorio. Già, l’oratorio, ci si sporcava sul campo di pallone e poi si finiva al bar a prendere con le 1.000 lire i dolci.

Poi sono arrivate le scuole superiori. Per qualcuno l’università. Gli edifici cominciavano a diventare a poco a poco sempre più grandi rispetto a prima. E non tanto perché noi si cresceva in altezza, quanto perché crescevano le difficoltà e le responsabilità. Ma iniziavano anche le feste. Le feste.. Poi le prime discoteche, per noi pischelli la domenica pomeriggio. Ambienti. Ambienti sempre nuovi. Posti sempre diversi. La nostra città, come nel mio caso di provincia, sembrava quasi una metropoli. Quanta fame di conoscenza. Quanta sete di conoscerne tutte le vie.

Poi il lavoro. Poi la vita nel centro città’. Poi con la macchina verso la collina a far diventare i vetri appannati. Colline sui cui sentieri facevamo le nostre passeggiate domenicali.

Se ci pensate bene, spesso, le abbiamo fatte con i nostri primi amori. Che per qualcuno di voi sono rimasti. Per altri.. Cambiamo discorso? Cambiamo discorso.

Lo stadio. Gli stadi costruiti negli anni ’50/’60 all’interno delle nostre città, che meraviglia! E lo sport. Lo sport che si poteva fare ovunque (ma che bello era, dieci chilogrammi fa, correre per le vie del centro?).

I festival. I concerti. Le feste paesane. I patroni. Le bancarelle.

Vado avanti? Aiutatemi però nei ricordi, su. Perché io ricordo i nomi di tutti i bar dove si iniziavano e poi si finivano le serate.

Certo, c’era il lavoro. Il lavoro ci faceva spesso andare in giro. Ci faceva uscire dalla nostra città ogni tanto. Ma poi si tornava a casa la sera.. E le vacanze? Sin da piccoli quando si tornava dalla vacanza al mare.. nel vedere apparire quel cartello.. non si sobbalzava? Io sì e lo faccio ancora oggi, credetemi.

Perché la mia città è tutto.

E’ monumenti e storia. E’ vita. E’ incontro. E’ persone.

E così è sicuramente per te nei confronti della tua. Lo so, a volte, ce ne lamentiamo. Spesso anche a ragione, perché sono e devono essere tutte migliorabili.. Ma sono la tua provenienza. La tua casa. I tuoi momenti. I tuoi ricordi.

Difficilmente, se guardiamo al passato, riaffiora un ricordo di noi al pc, vero? Abbiamo il ricordo di noi che facevamo cose.. (che detto così..) con altre persone.. (ecco, appunto). Anche se oggi un po’ ce lo siamo dimenticati, avendo sempre quel fottutissimo telefonino tra le mani.

I momenti. Tutti quei momenti non torneranno più. Inutile girarci intorno. E’ necessario dare vita a nuovi che poi diventeranno anch’essi ricordi. Perchè.. Perché metti il caso che arrivino veramente le cavallette e ci toccasse andare a vivere a…

Ehi, sono le città a trasformare i nostri momenti in ricordi, o sono i momenti che abbiamo vissuto a farle diventare importanti per noi? Marzullo, ciapa’!

Hasta la vista – And love your city!